Sostenibilità

Quando il tessuto viene dal mare

Ripuliamo i mari dalla plastica

Animali marini impigliati nei sacchetti, tappi di bottiglia nello stomaco dei pesci: immagini che non vorremmo più  vedere. Secondo il WWF  nei mari e negli oceani sono presenti oltre 150 milioni di tonnellate di plastica, se non si agisce per tempo, entro il 2050 negli oceani ci saranno più plastiche che pesci.  


Le iniziative non mancano ma il problema ha davvero dimensioni enormi.  E in attesa di leggi che mettano fine alla plastica mono uso, ben vengano   programmi di raccolta, recupero e riciclo di rifiuti plastici abbandonati nell’ambiente. Uno sforzo che coinvolge ONG, ambientalisti, semplici cittadini ed imprese. Nell’estate 2019 ad esempio una spedizione dell’Ocean Voyages Institute ha raccolto utilizzando droni e immagini satellitari 40 tonnellate di scarti dal cosiddetto Great Pacific Garbage Patch, l’isola di rifiuti galleggiante più grande al mondo in costante movimento tra le coste della California e le Hawaii. Nel mese di ottobre scorso anche alcune città costiere italiane hanno promosso giornate di pulizia delle spiagge. E’ poco certo, ma è un inizio.


Un successo è stata l’iniziativa di Parley for the Oceans la ONG fondata dall’ambientalista americano Cyrill Gutsch, che dal 2015 ha avviato una collaborazione con Adidas realizzando una linea di sneakers prodotte con plastica recuperata e riciclata. Con il marchio Ocean Plastic® offre poliestere riciclato al mondo della moda. Il marchio spagnolo Ecoalf nato nel 2009 per volontà di Javier Goyeneche  nell’ambito del Progetto Upcycling the Oceans. Anche in questo caso la raccolta di reti da pesca e materiali abbandonati rifornisce una nuova filiera produttiva e la spazzatura  raccolta si trasforma in filato di qualità per produrre tessuti e prodotti. La spagnola Seaqual Initiative ha raccolto 100  tonnellate di rifiuti marini lungo le coste oceaniche dell’Europa e nel Mediterraneo, rifiuti che contribuiscono alla produzione di Seaqual Yarn filato di poliestere  che contiene il 10% di plastica marina e per il restante 90% è PET post-consumo. Il materiale ha le stesse caratteristiche del poliestere standard ma in più una storia che vale la pena raccontare e contribuisce a rendere più sostenibile il prodotto e la collezione realizzata. Senza dimenticare Econyl, il filato in poliammide realizzato dall’italiana Aquafil e  ottenuto da reti da pesca non più utilizzabili e da scarti di pavimentazioni tessili.

 

Sono iniziative importanti che hanno creato filiere produttive a partire dal coinvolgimento diretto dei pescatori, invitati a raccogliere e a conferire i rifiuti plastici alle organizzazioni che le invieranno ai processi di riciclaggio. Oltre a migliorare le condizioni dei mari e fornire materia prima seconda alla filiera della moda sostenibile questi progetti hanno anche l’effetto di rivitalizzare filiere locali impegnate nelle attività di recupero, cernita, movimentazione dei materiali e nelle operazioni di riciclo. Non è cosa di poco conto: significa offrire posti di lavoro e incrementare il benessere di intere comunità.

 

Un'altra occasione per il mondo della moda che può contribuire a trasformare iniziative nate dalla spinta di sensibilità ambientaliste in un modello di business circolare.