Sostenibilità

Le fibre tessili e le microplastiche

L’inquinamento invisibile di mari e oceani
Glossario della Sostenibilità - MU Sustainable Innovation

Quando pensiamo all’inquinamento da rifiuti di mari e oceani la prima immagine è quella dei rifiuti plastici che galleggiano nell’acqua, dei sacchetti di plastica e delle reti da pesca abbandonate che intrappolano pesci e altri animali marini. 

 

Un altro pericolo, meno visibile e impossibile da catturare con immagini spettacolari è però quello delle microplastiche, presenti nei mari e negli oceani e che arrivano fino nei nostri piatti, come hanno mostrato  alcuni studi svolti da associazioni di consumatori – in Italia Altro Consumo - che hanno trovato presenza di microplastiche in circa il 40% di un campione testato di cozze, gamberi, scampi e mazzancolle surgelati acquistati nei supermercati e vari studi sui pesci del mediterraneo.

 

Il problema delle microplastiche chiama in causa direttamente anche la moda, i tessuti, in particolare quelli in fibre sintetiche e il modo in cui laviamo i nostri abiti.

 

Ma cosa sono le microplastiche?

Convenzionalmente, i rifiuti plastici sono suddivisi in: macroplastiche con dimensione maggiore di 200 mm; mesoplastiche, con dimensione tra 4,7 e 200 mm; microplastiche di medie dimensioni, tra 0,33 mm e 4,7 mm, una dimensione tale da renderle praticamente invisibili a occhio nudo.

 

Il grande numero di studi sull’argomento ha, senza ombra di dubbio, stabilito che il problema esiste, uno studio del 2016 di Legambiente, ad esempio ha dimostrato la presenza di microplastiche anche nei laghi italiani.

 

Restano invece ancora molto controversi, l’effettiva dimensione dell’impatto sull’ambiente e sulla salute dell’uomo e il peso che il tessile e la moda hanno nel generare il problema.

 

Uno dei principali studi che hanno catalogato il tessile come fonte primaria della presenza delle microplastiche nelle acque di laghi, mari e oceani (IUCN, International Union for Conservation of Nature, 2017) ha sollevato molte critiche metodologiche e la contestazione che le stime degli elevatissimi rilasci di microplastiche dai prodotti tessili contenevano gravi errori nei parametri.

 

Studi metodologicamente solidi che dimostrino l’incidenza negativa delle microplastiche sulla salute degli organismi acquatici e sull’uomo ancora non sono stati pubblicati.

 

È invece provato che le microplastiche possono assorbire inquinanti organici persistenti come ftalati, PCB, organoclorine e metalli pesanti, sostanze tossiche, cancerogene o mutagene che, legati alle microplastiche, possono risalire la catena alimentare con effetti negativi sulla salute umana.

 

Come si può affrontare questo problema che ha grande eco sui mezzi di comunicazione e nell’opinione pubblica?

 

L’ipotesi di un mondo “no plastic” è irrealistica.

Nel tessile, le fibre sintetiche rappresentano 2/3 del totale delle fibre impiegate, una riduzione del loro impiego è tecnicamente impossibile, non ci sono fibre alternative in grado di rispondere alla domanda o, in ogni caso la sostituzione delle fibre sintetiche  genererebbe danni ambientali ancora maggiori per il fabbisogno di terre coltivabili o da pascolo che richiederebbe, sottraendole alla produzione di cibo.

 

Più praticabile nel breve-medio termine è l’ipotesi di miglioramento dei sistemi di filtrazione, sia domestici che industriali per evitare il rilascio delle microplastiche di derivazione tessile.

 

Più a lungo termine, la ricerca sulle fibre sintetiche biodegradabili, di cui si cominciano a vedere sul mercato i primi limitati esempi, offre una prospettiva promettente. 

 

Nell’immediato come consumatori possiamo adottare una semplice cautela: utilizzare, quando si lava in lavatrice sacchetti già disponibili sul mercato, realizzati con filati che non rilasciano microplastiche dentro i quali collocare i capi in fibra sintetica.