Prove di riconversione da COVID-19
Mercato - MU Sustainable Innovation

Secondo le previsioni pubblicate da Euratex gli effetti del Covid 19 sul sistema moda saranno molto gravi. L’80% delle aziende interpellate dall’Associazione europea del tessile moda, a marzo stava già riducendo il personale, più della metà si aspettava un calo delle vendite e della produzione di oltre il 50% per cento, mentre 1 impresa su 4 stava valutando la possibilità di chiudere le attività. Difficile vendere e produrre capi moda in un mondo in quarantena. 

 

Guardare a nuovi mercati, riconvertire le produzioni può rappresentare un’opportunità di salvezza e di rilancio? E’ quello che hanno pensato le centinaia di imprese italiane che in queste settimane si sono dichiarate disponibili a produrre mascherine ma anche calzari, abbigliamento protettivo per personale sanitario. Un gesto di generosità dettato dall’emergenza e dal desiderio di rendersi utili ma anche esercizi di riconversione industriale utili ad acquisire competenze ed affrontare il futuro. 

 

Due gli approcci applicati, dovuti in particolare alla tipologia e al background delle imprese. 

 

Le aziende già operative nel mercato dei tessili tecnici si sono candidate a produrre articoli protettivi ad uso sanitario conformi ai protocolli tecnici indicati normative di riferimento (norma UNI EN ISO 14683:2019, UNI EN ISO 10993, Sistema di gestione della QUALITA’ ISO 13485 oppure Good Manufacturing Practices-GMP) per le mascherine chirurgiche e N95 NIOSH - EN 149:2001+A1:2009, Sistema di gestione della QUALITA’ ISO 13485 oppure Good Manufacturing Practices (GMP) per le mascherine filtranti FFP2. I protocolli indicati dall’Istituto Superiore di Sanità e dalle Regioni hanno disegnato un percorso di validazione dei materiali presso alcuni laboratori autorizzati (ad esempio il Politecnico di Milano) in deroga ai normali e complessi processi di certificazione, riservandosi l’approvazione finale. Un iter che si è rivelato lento e non adeguato a soddisfare le alte richieste di materiali in particolare nelle strutture sanitarie.

 

Alla maggior parte delle aziende tessili è restata l’opzione di progettare e fornire mascherine a uso civile, che i cittadini possono cioè indossare mentre si recano nei negozi. Articoli fondamentali anche nella gestione della cosiddetta ‘fase 2’, quella cioè del riavvio delle attività economiche e della circolazione.

 

Mentre scriviamo siamo quasi a fine aprile e la sensazione di aver perso un’occasione è tangibile. La pandemia ha mostrato che per far fronte ad emergenze sanitarie è necessario contare su filiere produttive integrate (manifatture, laboratori di testing e ricerca, logistica) in grado di rifornire le strutture sanitaria e le varie attività economiche e relazionali con prodotti idonei a garantire protezione, igiene, comfort, prevenzione.

 

Vediamo invece ritardi, difficoltà a reperire informazioni e burocrazia. Una situazione che si concretizza da un lato in una domanda non soddisfatta di DPI e dall’altro in imprese volonterose ma poco supportate nelle proprie strategie.

 

Ma non è tutto. Con filiere integrate intendiamo non solo confezioni, produttori di TNT, tessiture e finissaggi ma anche le imprese della sanificazione dei materiali professionali ed ospedalieri, anch’esse in prima linea nella battaglia al coronavirus. E pensiamo alla gestione dei rifiuti. Consumi massicci di mascherine e dpi generano e genereranno problematiche importanti per quanto riguarda raccolta, stoccaggio e gestione dei rifiuti a fine utilizzo. Un problema su cui il comparto sta richiamando l’attenzione non senza preoccupazione. L’industria manifatturiera può in parte farsene carico? Si se nella progettazione dei DPI sceglie approcci di eco design e privilegia strutture e materiali riutilizzabili contribuendo a ridurre i volumi dei prodotti monouso.