Sostenibilità

I materiali bio-based

Definizione e prospettive
Glossario della Sostenibilità - MU Sustainable Innovation

Il termine "bio-based" è utilizzato per i materiali o prodotti che siano interamente o parzialmente derivati da biomassa: piante e vegetali.

È generalmente impiegato in relazione ai nuovi sviluppi nel campo delle bioplastiche, che utilizzano come materia prima biomasse come mais, canna da zucchero o cellulosa in sostituzione dei derivati da fonti fossili come il petrolio.

 

È importante osservare che bio-based non significa necessariamente biodegradabile. Alcune bio-plastiche sono biodegradabili, ad esempio il PLA e il PHA, ma altre NON lo sono, ad esempio il bio-nylon o il bio-poliestere. Inoltre, se la maggior parte delle plastiche e fibre sintetiche derivate da fonti fossili NON sono biodegradabili, ad esempio il nylon e il poliestere, alcune invece lo sono come ad esempio il PBAT (Polibutilene adipato teraftalato) che è uno dei componenti dei sacchetti biodegradabili in MaterBi – quelli che usiamo per la raccolta differenziata della frazione umida o quelli dei supermercati.

 

In ambito tessile il termine è generalmente utilizzato nell’ambito della produzione di fibre man-made, sia sintetiche, come nylon e poliestere, dove la sostituzione delle fonti fossili è uno dei principali campi di innovazione. Anche le fibre chimiche cellulosiche, come viscosa, cupro e acetato sono bio-based, come, ovviamente, anche fibre naturali.

 

L’innovazione nelle fibre sintetiche bio-based

Con oltre 65 milioni di tonnellate prodotte nel mondo, le fibre sintetiche sono le materie prime più utilizzate nei processi tessili e il loro uso ha ampiamente superato quello delle fibre naturali. La sensibilità dall’opinione pubblica ai temi ambientali le ha poste sotto osservazione, in relazione a tre aspetti: l’origine da materiali fossili e le relative emissioni nette di CO2 in atmosfera; i tempi di biodegradazione lunghissimi, dell’ordine dei secoli, che ne rendono i rifiuti permanenti nell’ambiente e, più recentemente, in relazione alla presenza di microplastiche nei mari, secondo alcuni studi causata anche dai lavaggi dei capi di abbigliamento in fibre sintetiche. Per completezza si deve ricordare che per alcuni parametri ambientali le fibre sintetiche, anche quelle tradizionali derivate dal petrolio, hanno un impatto ambientale minore rispetto alle principali fibre naturali, grazie ai minori consumi di acqua, al basso impiego di sostanze chimiche pericolose (es. pesticidi) e al consumo di suolo coltivabile praticamente nullo.

 

L’industria chimica ha introdotto fibre sintetiche bio-based, bio-nylon, bio-poliestere ecc., nella cui produzione i derivati dal petrolio sono sostituiti da olii vegetali, amidi e zuccheri. Queste fibre contribuiscono alla “decarbonizzazione” della produzione, la riduzione cioè dell’uso di materie prime fossili e di conseguenza delle emissioni nette di CO2 in atmosfera. Ma non risolvono i problemi della permanenza dei rifiuti e delle microplastiche, dato che i loro tempi di biodegradazione sono simili a quelli delle fibre sintetiche tradizionali.

 

Sono disponibili sul mercato fibre sintetiche sia bio-based al 100%, interamente prodotte da biomasse, che solo parzialmente bio-based, prodotte in composizione intorno 50% con materie fossili. La produzione delle fibre bio-based è in forte crescita anche se rappresenta ancora una quota ridotta del totale delle fibre. Le stime della associazione European Bioplastics e del Nova Institute, il principale centro di ricerca europeo del settore, indicano una produzione di fibre chimiche bio-based oggi vicina alle 300mila tonnellate.