È tempo di cambiare il Regolamento UE sulle etichette tessili
Le etichette, la sostenibilità e oltre
Le informazioni che obbligatoriamente devono essere inserite nelle etichette sui prodotti tessili in vendita nei Paesi dell’UE sono definite da un regolamento europeo adottato il 27 settembre 2011 (Textile Labelling Regulation (EU) No 1007/2011).
A 12 anni dall’adozione del regolamento che, ricordiamolo, interessa non solo l’abbigliamento, ma anche i tessuti per arredamento e i rivestimenti dei materassi è arrivato il tempo di una sua revisione. Sono cambiate radicalmente le esigenze del mercato, si pensi all’importanza che oggi hanno le informazioni sull’impatto ambientale, in generale sulla tracciabilità dei materiali, o l’importanza di etichettare correttamente i capi di seconda mano.
Altrettanto radicalmente è cambiato il quadro normativo dell’UE per il settore tessile, basterebbe ricordare che il regolamento è addirittura antecedente all’adozione del REACH – anch’esso arrivato ad una importante revisione. Come è noto, sono poi oggi in discussione importanti cambiamenti normativi, innescati dal documento sulla strategia europea per il tessile sostenibile e circolare. Basti pensare alle proposte di regolamento sull’eco-design, contro il greenwashing, all’applicazione della direttiva sull’EPR, ecc.
Sono tutti fattori che richiedono un quadro informativo decisamente più sofisticato di quello previsto dal vecchio regolamento, sia sul piano dei contenuti sia sul piano degli strumenti da utilizzare.
Ci sono poi altre ragioni che alimentano la necessità di intervenire.
La prima è che oltre ai già citati aspetti ambientali, il vecchio regolamento opera in un ambito molto limitato ed esclude dal suo campo di applicazione caratteristiche ormai non trascurabili come le informazioni sulla taglia (non regolate), quelle sulla manutenzione (l’uso dei simboli di manutenzione fa oggi riferimento alla norma tecnica ISO/3758 (Textiles — Care Labelling Code Using Symbols) e non a un regolamento europeo), il problema dell’uso del termine “pelle” negli accessori e nell’abbigliamento, che ogni Paese ha normato in modo indipendente e, infine, l’annoso tema del made-in.
La seconda è che alcune delle prescrizioni del regolamento si sono dimostrate poco efficaci. È il caso dell’obiettivo, sostanzialmente mancato di rendere le pratiche per il riconoscimento delle nuove fibre e dei loro nomi più facili, rapide e armonizzate in tutta Europa oltre che meno costose. Un’altra prescrizione manchevole è stata la prevista definizione degli standard per l’analisi della composizione per fibra dei capi.
Al di là della definizione dei contenuti informativi, si apre poi il grande tema degli strumenti con cui le informazioni devono raggiungere il consumatore. Dal 2011 ad oggi, l’uso di etichette digitali, dai QR-code, ai tag RFID o NFC, leggibili dagli smartphone ha fatto grandi passi avanti, offre potenzialità informative enormi in aggiunta alla tradizionale etichetta, o al cartellino e richiede una qualche forma di regolamentazione.
La Commissione Europea ha cominciato a mettere in cantiere i primi passi per un intervento di revisione, uno studio sull’impatto del vecchio regolamento e una valutazione approfondita sui possibili miglioramenti. È una prospettiva che coinvolge tutta la filiera. Per raccogliere le informazioni che andranno sulle etichette è necessario il coinvolgimento e la collaborazione di tutti gli attori dai produttori di materia prima fino ai confezionisti.