Sostenibilità

Animal welfare

La sostenibilità è animale oltre che sociale e ambientale?

Cresce il numero di vegetariani e vegani, e cresce la pressione di consumatori, associazioni e media sui marchi della moda perché non si produca causando dolore e stress agli animali. È una sensibilità di forte attualità ma non recentissima, cresciuta soprattutto nella critica all’industria della pelliccia e delle pelli esotiche ma che coinvolge tutti i produttori che utilizzano pelli, piume e naturalmente anche fibre tessili animali.

 

La produzione di fibre animali è una quota minoritaria dei volumi totali di fibre tessili, circa 1,6 milioni di tonnellate di lana, seta, fibre nobili, piume, pari all’1,5% della produzione globale di fibre, una quantità molto inferiore ai 25,7 milioni di tonnellate del cotone o addirittura ai 57 milioni di tonnellate del poliestere.

 

L’ importanza di questi materiali dal punto di vista economico, estetico e culturale è però fuori discussione. La lettura dei bilanci di sostenibilità dei principali marchi della moda ci mostra il tema sia ormai al centro dell’attenzione, seppur con approcci diversi e in continua evoluzione.

 

Non mancano posizioni radicali, come la moda vegana che esclude del tutto l’uso di materie prime di origine animale e non sono pochi i casi dei marchi che, a fronte di campagne di organizzazioni animaliste, hanno deciso di escludere del tutto una o l’altra fibra dalle collezioni, come nel caso della fibra d’angora a seguito della denuncia del PETA sui trattamenti cruenti subiti dai conigli negli allevamenti.

 

Sono però prevalenti gli approcci misurati e articolati in ragione delle specificità di ciascun materiale, come ad esempio riguardo al rispetto delle norme del CITIES, il regolamento internazionale per la difesa delle specie in via di estinzioni.

 

Ma al di là delle differenti strategie, i rischi per la reputazione di un marchio derivanti da una denuncia per l’uso di materiali che siano costati sofferenze agli animali restano elevati. Meglio pensarci per tempo.

 

Ma i marchi della moda sono oggi in grado di rassicurare i consumatori riguardo al rispetto del benessere animale? E al non uso di dolorosi o stressanti? E quali strumenti sono disponibili per comunicare l’impegno di un marchio in materia di animal welfare?

 

Sono nati a questo scopo standard di certificazione, si pensi ad esempio nella lana a ZQMerino, della The New Zealand Merino Company, o al Responsible Wool Standard (RWS), per il Mohair al Responsible Mohair Standard (RMS), per il cashmere al Good Cashmere standard di Aid Trade Foundation, per la piuma al Global Traceable Down Standard, o al Down Integrity System & Traceability (DIST) di Moncler. per l’Alpaca si sta definendo un Responsible Alpaca Standard (RAS).

 

Si può fare di più? Certo. Al di là delle certificazioni è necessaria una gestione e un monitoraggio della filiera sulla base principi della tracciabilità e trasparenza, anche per il welfare degli animali, e soprattutto evitare quella variante del greenwashing che potremmo definire l’animalwelfare-washing.